domenica 28 febbraio 2016
sabato 27 febbraio 2016
venerdì 26 febbraio 2016
Peter Hammill - Chameleon in the shadow of the night (1973)
Meraviglioso, tragico, malinconico, drammatico album solista di Peter Hammill, sempre accompagnato dai fidati compagni dei Van der Graaf Generator.
Segnalo brani come In the end, Easy to slip away che riprende il tema degli amici persi e recupera i due personaggi Mike e Suzie, già presenti nel capolavoro Refugees, la suite (In the) black room.
Peter Hammill - Fools mate (1971)
Peter Joseph Andrew Hammill, uomo, musicista, poeta, artista dell'inconscio, narratore delle paure e dell'angoscia, mente dei Van Der Graaf Generator.
Non si può suddividere il periodo VDGG da quello solista perché entrambi sono frutti di uno stesso albero. Analizzando i pensieri e i testi delle due esperienze, si possono trovare tracce di atipici chiaroscuri per qualsiasi altro gruppo di rock progressivo (e non solo...). La voce graffiante lacera l'anima; la meta fissata era la ricerca assoluta dell'essere come individuo, per poterne liberare lo spirito. Hammill è un artista che ha continuamente vissuto ai margini della realtà, decidendo di vivere mondi popolati di fantasmi, dove le ferite tardano a rimarginarsi e dove gli eroi hanno il passo stanco della sconfitta.
“Lo splendore del sole chiama
ho indugiato troppo vicino e non so bene il perché
ma sento la voglia di piangere.
So che non danzeremo mai come prima
io sguardo in alto, sono quasi accecato dal calore
di quel che sento dentro
e dal gusto che ho nell'anima.
Ma sono morto dentro e sto da solo”.
(da Lost)
Echi di vita disperata e senza nessuna possibilità di fuga aleggiavano intorno sebbene ben modulate in una delle voci più belle del rock: la visione di quel mondo difficile ed emarginato di chi si ritira dentro se stesso alla ricerca della propria misura, dei propri ritmi, dei propri limiti e del rapporto che vive con l'estremo che coincide con traumi esistenziali che formano poi le tappe della vita. Ma il rock duro, elettrico, tirato all'inverosimile, pregno di un lirismo catastrofico ed epico a volte può lasciare spazio ad isole incontaminate, sognanti ed eteree. Ed è proprio qui, tra la tempesta (prima della calma) e la calma (dopo la tempesta) il luogo dove abita Hammill.
Contemporaneamente all'attività con i VDGG, il suo fortissimo bisogno di espressività lo porta ad iniziare nel 1971 una parallela attività solistica coadiuvata da membri del gruppo stesso.
Fool's Mate primo album solo di Hamnill (con la copertina realizzata da Paul Whitehead che curò le copertine dei VDGG e dei Genesis), pubblicato
alcuni mesi prima di Pawn Hearts, contiene dodici brevi canzoni che contrastano nettamente con i contemporanei lavori del gruppo, nonostante la presenza in veste di ospiti dei VDGG al completo.
I brani mostrano un Hammill capace anche di sorridere, stringato negli arrangiamenti, più concreto nel linguaggio, anticipando alcune
caratteristiche di quella che diventerà una fecondissima attività solistica.
Charles Lloyd - Dream weaver (1966)
Nel biennio 1966-1968 il sassofonista Charles Lloyd guidò un quartetto in cui comparivano il pianista Keith Jarrett, il contrabassista Cecil McBee ed il batterista Jack DeJohnette.
Il gruppo fu un importante vetrina per il giovanissimo Jarrett e fu anche l'occasione in cui questi conobbe DeJohnette con cui sarebbe nato, anni dopo, un lunghissimo sodalizio.
La musica del quartetto era una interessante fusione di linguaggi: dal post-bop al free jazz al soul jazz. Il gruppo ottenne rapidamente un ampio consenso sia di pubblico che di critica riuscendo, inaspettatamente, ad oltrepassare i confini dell'ambiente jazzistico fino a conquistare fasce di pubblico normalmente interessate ad altri generi musicali e diventando il primo gruppo jazz ad esibirsi al Fillmore, lo storico locale di musica a San Francisco.
giovedì 25 febbraio 2016
David Bowie - Blackstar (2016)
Ho ascoltato questo disco spinto dalla curiosità che mi ha suscitato la “considerazione” (senza fanatismo o iperboli) di personaggi che sono più vicini ai miei gusti musicali.
Fin dal primo ascolto, Blackstar si è rivelato un gran bel disco, per me il suo capolavoro (seguito da 1.Outside e da episodi sparsi qua e là..., in generale, nel suo caso, trovo più interessante ciò che ha prodotto dalla fine anni '70 in poi...).
Con questo disco David Bowie ha superato tutto ciò che nella sua musica mi aveva sempre lasciato indifferente, trovando una sintesi quasi perfetta con un linguaggio musicale che molto deve al jazz, complice anche il gruppo che lo ha accompagnato in quest'ultimo viaggio...
martedì 23 febbraio 2016
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